Alimentazione e psiche: un nuovo filone di ricerca

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Un recente filone di ricerca (psichiatria nutrizionale) si sta occupando di indagare il rapporto tra alimentazione, modelli nutrizionali e rischio di malattia psichica. Modelli nutrizionali non ottimali, insieme alla riduzione dell’attività fisica legata all’urbanizzazione possono minare la salute, inclusa quella psichica.

 

Aspetti epidemiologici e neurobiologici

Il cervello utilizza per la sua struttura e la sua funzione (la comunicazione intra ed intercellulare) gran parte dell’energia e dei nutrienti che ingeriamo quotidianamente: aminoacidi, grassi, vitamine, minerali e oligoelementi. Oltre all’introito dei nutrienti strettamente detti, è di particolare importanza per la salute psichica il sistema di difesa antiossidativo che opera col supporto di cofattori e derivati fitochimici; importante è pure il sistema immunitario, anch’esso profondamente influenzato dalla dieta e da altri stili di vita. Vediamo quindi che lo sviluppo neuronale e i meccanismi riparatori (attraverso i fattori neurotropici) sono influenzati dalla dieta, che esercita la sua influenza sia in condizioni di generale benessere psichico che nei disturbi neuropsichici.

Studi epidemiologici prospettici di buona qualità hanno collegato in modo chiaro una dieta sana ad un ridotto rischio di ammalarsi di ansia e depressione. Una dieta ricca di vegetali, frutta, patate, soia, funghi, alghe e pesce è associata a ridotto rischio di suicidio; tè e caffè verdi invece sono associati a basso rischio di depressione. È stato anche dimostrato che la nutrizione nei primi anni di vita è correlata al successivo sviluppo di malattie mentali, mentre nell’età avanzata la dieta mediterranea è risultata associata con migliori performance cognitive e con un ridotto rischio di sviluppare demenza.

Altri studi più sofisticati hanno indagato i meccanismi con cui alcuni nutrienti influenzano la funzione cerebrale, ad esempio il consumo di grassi saturi obesogeni in epoca pre e perinatale è associato a cambiamenti nella neurotrasmissione e nella plasticità cerebrale e ad anomalie comportamentali. Non tutti i grassi hanno lo stesso ruolo nella salute. Livelli bassi di colesterolemia, probabilmente in relazione ai bassi livelli della lipoproteina ad alta densità che viene invece introdotta con le diete salutari, sono associati con maggior rischio di suicidio. All’opposto, acidi grassi omega3 trovano un impiego nel disturbo bipolare, nel PTSD, depressione e nella prevenzione delle psicosi. Una carenza di vitamina B9 (acido folico) e B12, dovute ad errori nutrizionali, è stata associata a sintomi depressivi.

Tuttavia, l’uso terapeutico di un singolo nutriente, può essere inferiore al valore potenziale di un intervento con multinutrienti. Ad esempio, bassi livelli di zinco nella dieta sono correlati con alto rischio di depressione e con risposte abnormi agli antidepressivi, ma lo zinco è legato al metabolismo degli omega3 e di altri acidi grassi essenziali, ed insieme controllano epigeneticamente i neuroni attraverso vie complesse. È plausibile quindi che la combinazione dei due elementi, attraverso correzioni della dieta piuttosto che attraverso integratori, dia i migliori risultati.

Effettivamente, molti pazienti psichiatrici insieme alla terapia assumono integratori, che però possono modificare direttamente il controllo epigenetico, e interagire con i farmaci ansiolitici e antidepressivi. Anche pesticidi, coloranti, dolcificanti e aromi sintetici possono influenzare il comportamento.

La dieta occidentale ricca di grassi può alterare il microbiota intestinale, cioè l’insieme dei microrganismi non patogeni presenti nell’intestino, e provocare un aumento della permeabilità intestinale. In queste condizioni, attraverso l’assorbimento da parte dell’intestino dell’endotossina lipopolisaccaride, prodotto di degradazione dei batteri gram negativi, si arriverebbe ad una infiammazione sistemica di basso grado. Effettivamente, è stato riscontrato che i soggetti affetti da malattie mentali (ma anche le persone con sofferenza psichica acuta) presentano infiammazione cronica di basso grado, stress ossidativo, alterazioni del metabolismo, e alterazione del microbiota. La modificazione del microbiota intestinale sembra modificabile attraverso l’uso dei probiotici e prebiotici.

Abitudini alimentari e malattie, psichiche e non, sono connesse da legami complessi. Come abbiamo visto, vi sono aspetti strettamente neurobiologici, ma anche il livello socioeconomico, l’urbanizzazione, i cambiamenti climatici e la globalizzazione dell’industria del cibo si intrecciano nella genesi di queste condizioni patologiche.

L’immissione massiccia sul mercato di cibo a basso costo, ultraprocessato, ad alta densità calorica e basso contenuto nutritivo, ha favorito soprattutto negli strati sociali più bassi della popolazione l’aumento di obesità, malattie cardiovascolari, depressione e ansia.

Questo tipo di cibo è molto lontano dallo stile alimentare a cui l’essere umano è fisiologicamente adatto. A questo invece, dovremmo cercare di tornare, anche per il mantenimento della salute psichica, come consigliano le linee guida nutrizionali internazionali.

scritto da Alessandra Benedetti

Fonti:

Logan AC, Jacka FN. Nutritional psychiatry research: an emerging discipline and its intersection with global urbanization, environmental challenges and the evolutionary mismatch. J Physiol Antropology. 2014, 33:22

Berrino F. Il cibo dell’uomo. Franco Angeli, 2015

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