Dieta e depressione: il ruolo degli acidi grassi omega 3

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Acidi grassi polinsaturi omega 3 e omega 6 e malattie croniche

I disturbi dell’umore, in particolare la depressione, hanno subito negli ultimi decenni un aumento che va di pari passo con quello dei disturbi cardiovascolari e con il profondo cambiamento nelle abitudini dietetiche del mondo occidentale. A seguito di questa evidenza, alcuni studi hanno segnalato che la depressione condivide i medesimi meccanismi patofisiologici delle malattie e del rischio cardiovascolare, cioè aumento delle citochine proinfiammatorie, disfunzioni dell’endotelio, ed elevazione dei livelli ematici di omocisteina. Nella depressione, analogamente a quanto avviene nei disturbi cardiovascolari ci sono alterazioni del flusso ematico cerebrale: una ipoperfusione del sistema limbico e della corteccia prefrontale con riduzione del metabolismo del glucosio a questi livelli.

Uno dei fattori che potrebbe spiegare l’aumento parallelo dei due fenomeni patologici è il progressivo spostamento del rapporto tra gli acidi grassi polinsaturi omega 3 e 6 a favore dei questi ultimi, e l’aumento del consumo di grassi saturi, che si sono verificati nell’ultimo secolo. I mammiferi, incluso l’uomo, devono assumere gli omega 3 e gli omega 6 con la dieta, poiché non possono sintetizzarli a partire da precursori semplici.

Gli omega 6 e gli omega 3 si trovano nel cibo. Gli omega 6 sono contenuti negli oli vegetali di lino, canapa, nelle noci e nei cereali e loro derivati. Gli Omega 3 sono contenuti soprattutto in alcuni tipi di pesce, come salmone, sardine, aringa, sgombro, acciuga e trota. In alcuni semi e oli: chia, colza, lino, noci secche, noci pecan, mandorle. Inoltre in latticini e fagioli crudi.

Gli omega 6 hanno funzione proinfiammatoria, gli omega 3 hanno funzione antinfiammatoria. Nelle popolazioni primitive il rapporto omega 6/omega 3 era circa di 1:1, ottimale per garantire un equilibrio a livello delle membrane cellulari. Oggi questo rapporto arriva ad essere 16:1, in assenza di variazioni genetiche adattative. Dunque si può affermare che l’alimentazione odierna dell’essere umano non è adatta al suo patrimonio genetico.

Questo squilibrio sembra essere alla base dell’incremento delle malattie sostenute da un aumentato stato infiammatorio, cioè il cancro, le malattie cardiovascolari, autoimmuni, e anche la depressione.

In effetti, in condizioni fisiologiche, gli omega 3 hanno una funzione protettiva nei confronti di tutte queste patologie. Inibiscono la proliferazione dell’endotelio e influenzano la captazione e l’utilizzo del glucosio nelle cellule nervose, riducendo l’espressione del trasportatore cerebrale del glucosio.

Meccanismi biologici

Gli effetti protettivi degli omega 3 nella depressione si esplicano attraverso un meccanismo di regolazione neuroendocrina e uno di riduzione dell’infiammazione.

La regolazione neuroendocrina esercitata dagli omega 3 avviene attraverso la fluidificazione delle membrane delle cellule cerebrali e la regolazione delle proteine di membrana che mediano la trasmissione del segnale. Gli omega 3 inoltre modulano il turnover della serotonina, del glutammato e della dopamina, che risultano alterati nella depressione, nel suicidio e in altre patologie psichiche. Influenzano anche l’asse ipotalamo ipofisi surrene – i cui ormoni sono coinvolti nella patogenesi dello stress – attraverso la regolazione dell’ingresso del cortisolo nel tessuto cerebrale, e attraverso la riduzione del CRH (ormone stimolante la corticotropina) che porta alla secrezione del cortisolo.

È stato dimostrato che nella depressione vi è uno stato infiammatorio cronico dovuto ad un aumentata produzione di citochine proinfiammatorie e ad una diminuzione di quelle antinfiammatorie, sia a livello centrale che periferico. L’azione antinfiammatoria degli omega 3 è molto complessa e in gran parte ancora poco chiara, e coinvolge tra gli altri meccanismi intracellulari di competizione con i substrati delle molecole proinfiammatorie.

Riduzione del consumo di omega 3 e depressione

Già 15 anni fa si osservava che tanto minore è il consumo di olio di pesce, tanto maggiore è l’incidenza di depressione e disturbo bipolare nella popolazione generale, con una soglia di vulnerabilità di 650 mg/die. I risultati sono stati confermati da successivi studi, anche se non si può escludere che altri fattori  – la Dieta Mediterranea nel suo complesso –  possano contribuire a ridurre l’incidenza di depressione, mentre altri, come lo stress e l’uso di cibo altamente processato di scarsa qualità tipico dei paesi molto industrializzati, la possano incrementare.

Gli studi epidemiologici non danno risultati chiari a favore di una correlazione inversa tra consumo di omega 3 e incidenza di depressione, probabilmente a causa di difetti metodologici dei disegni degli studi. Anche gli studi sperimentali sono gravati da difetti metodologici, tuttavia indicano una correlazione inversa tra intensità dei sintomi depressivi e livelli ematici di omega 3 e suggeriscono che la supplementazione di omega 3 può avere un ruolo nell’alleviare tali sintomi, in particolare nelle forme depressive gravi.

In conclusione, anche se i risultati non sono ancora definitivi, gli studiosi concordano nel promuovere l’assunzione di cibi contenenti omega 3 e nel mantenere il rapporto omega 6/omega 3 inferiore a 5, anche attraverso l’utilizzo di integratori della dieta.

scritto da Alessandra Benedetti

Fonte: Grosso G, Galvano F, Marventano S, Malaguarnera M, Bucolo C, Drago F, Caraci F. Omega-3 fatty acids and depression: scientific evidence and biological mechanisms. Oxid Med Cell Longev. 2014;2014:313570. doi: 10.1155/2014/313570. Epub 2014 Mar18.

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